Il suolo è una risorsa preziosa, ma capire quanto ne consumiamo non è così semplice: normative, monitoraggi e controversie

 

Alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso Italo Calvino pubblica un romanzo in parte autobiografico intitolato La speculazione edilizia. Siamo in Liguria, nell’epoca del boom economico, che ha significato accelerazione dell’espansione urbanistica, una rapallizzazione di alcune aree del paese, per usare il neologismo inventato dallo scrittore. Il romanzo è considerato profetico per il grido di allarme sul consumo di suolo che per primo ha lanciato nel nostro Paese e ha anticipato preoccupazioni più vicine ai giorni nostri che invitano a non ricoprire con una colata di cemento il suolo, perché oggi sappiamo che il suolo è una risorsa naturale vulnerabile e che ha tempi di rigenerazione lunghi. È uno dei motivi per cui nei piani di governo del territorio, come il Piano Urbanistico Generale (PUG) del Comune di Bologna, si parla di suolo come parte del “patrimonio ambientale”: qualcosa che deve essere gestito con cura e attenzione. Perché ha un ruolo primario per la gestione delle acque, perché la traspirazione di un suolo permeabile mitiga l’eccessivo calore, perché è al centro degli equilibri degli ecosistemi naturali.

 

Misurare il consumo di suolo

Provare a capire quanto suolo viene consumato non è impresa semplice. Il punto di riferimento scientifico per l’Italia è il rapporto annuale dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) che sfrutta diverse fonti di dati satellitari per misurarlo. “Usiamo le immagini del progetto europeo Copernicus”, spiega Michele Munafò, coordinatore del rapporto di ISPRA, facendo riferimento al sistema di monitoraggio globale capitanato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA). “Su queste immagini, che vengono raccolte settimanalmente, facciamo lavorare degli algoritmi che abbiamo realizzato noi che sono in grado di individuare i punti in cui c’è stato un cambiamento”. Leggasi: dove è possibile che ci sia una nuova costruzione. 

Confronto che permette di individuare il consumo di suolo nel comune di Barberino del Mugello (Firenze). In questo caso si tratta dei lavori per la costruzione di una area di servizio autostradale – Fonte: Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici 2020 (ISPRA)

I dati di Copernicus, che “vede” nello spettro elettromagnetico, non sono però sufficienti e vengono integrati con altre fonti, come per esempio radar. Le segnalazioni degli algoritmi vengono poi verificate da ricercatori dell’ISPRA e delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (le ARPA), caso per caso, per essere ragionevolmente certi che si tratti di una effettiva copertura del suolo. “Le persone coinvolte nella realizzazione del rapporto sono una settantina”, spiega Munafò, “e il loro sforzo ci permette di avere una accuratezza tra il 98,5 e il 99%, in un settore in cui l’85% è considerato la sufficienza”.

 

Diverse esigenze

I dati prodotti da ISPRA servono come sostegno per le diverse amministrazioni locali per la gestione del territorio. Ma può succedere, come nel caso dell’Emilia-Romagna, che esista una legge locale – nel nostro caso si tratta della legge 24 del 2017 – che dia indicazioni specifiche che sono leggermente diverse. “La legge stabilisce che i comuni sono tenuti a individuare un perimetro del territorio urbanizzato al primo gennaio del 2018”, spiega Chiara Girotti, architetto dell’Ufficio di Piano del Comune di Bologna, “e che ci sia monitoraggio semestrale in cui i comuni comunicano alla Regione i procedimenti approvati che interessano parti esterne al territorio urbanizzato”. Comunica, cioè, quali e quante parti del territorio comunale hanno subito trasformazioni.

Mappa del Comune di Bologna con le segnalazioni delle trasformazioni tra 2018 e 2020 – Fonte:  PUG

 

L’individuazione di un perimetro del territorio urbanizzato serve a distinguere tra ciò che avviene al suo interno e al suo esterno. “La stessa legge”, continua Girotti, “stabilisce che al di fuori di questo perimetro il tessuto urbano possa espandersi per un massimo del 3%”. Considerati i 5940 ettari al momento dell’entrata in vigore della legge, significa 178,2 ettari. Sempre la legge 24, però, stabilisce anche delle eccezioni, in un tentativo di tenere in considerazione non solo le esigenze ambientali, ma anche quelle produttive ed economiche. Per esempio, alcuni enti strategici, come l’aeroporto, possono espandersi consumando suolo senza che questo venga conteggiato nel limite del 3%. Lo stesso vale se arriva l’insediamento in Regione di un impianto industriale considerato di rilevanza strategica. O ancora se un’industria preesistente ha l’esigenza di espandersi “in adiacenza”, come si dice per intendere che non può costruire dove vuole ma solo nelle immediate vicinanze dello stabilimento esistente.

 

Limiti

L’amministrazione comunale può agire all’interno di questo schema previsto dalla legge regionale. All’interno del Piano Urbanistico Generale, approvato a dicembre del 2020 e che entrerà in vigore nella seconda metà del 2021, è previsto che per preservare l’equilibrio tra esigenze produttivo-economiche e ambiente l’espansione edilizia o urbanistica non deve superare una determinata soglia dell’indice di Riduzione dell’Impatto Edilizio (RIE). “È un indice che misura la permeabilità del progetto”, spiega Girotti, “e prende in considerazione la permeabilità del suolo, la presenza di pareti e tetti verdi nella nuova costruzione e altri parametri di questo genere”. Se la soglia è superata, il progetto non può essere approvato.

Non tutto funziona in maniera così lineare come sembra sulla carta. Innanzitutto, ci sono concessioni o convenzioni che sono state stipulate precedentemente all’entrata in vigore di queste limitazioni e che non si possono fermare perché fanno riferimento alle norme in vigore in quel momento. Ma è anche vero che l’urbanistica, oggi, si pone all’intersezione tra molte esigenze diverse, da quella ambientale a quella economica, ma anche sociale. “Non si può certo nascondere che alcune scelte hanno creato tensioni sociali molto forti”, commenta Girotti. È il caso, per esempio, dell’ex-mercato di via Fioravanti. Secondo il Comune si è trattato di un’operazione che ha permesso la scopertura, e quindi almeno una parziale rigenerazione del suolo che prima era coperto dal mercato stesso. Per chi ha criticato l’operazione, si tratta di un’operazione che rimanda più alla rapallizzazione di cui parlava Calvino. 

Si tratta solo di un episodio, ben noto in città, che però mostra quanto sia complesso il rapporto tra i diversi nodi di una rete poliforme, ognuno con punti di vista e interessi diversi, ma tutti che ruotano attorno al suolo e al suo consumo. Sulla carta, come ricorda Girotti, “il PUG agisce su due direttrici principali. Da una parte il contenimento del consumo, con il limite dell’espansione del territorio urbanizzato, dall’altra la regolazione attraverso il RIE”. Il RIE è solo uno dei parametri previsti. Nel PUG si parla anche di Indice di Benessere Microclimatico, Controllo dell’apporto energetico solare dell’edificio, Risparmio e riuso delle acque, Sostenibilità energetica ed emissiva: un insieme di aspetti diversi che sono applicati per le trasformazioni edilizie e urbanistiche. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra le diverse esigenze per “garantire un microclima migliore”. Ma è un panorama che è influenzato da scelte del passato, sicuramente anche alcune scelte sbagliate, i limiti dell’azione del Comune in certi ambiti, il tirare per la giacchetta di esigenze diverse e una complessità di ogni singolo caso che lo rendono potenzialmente una storia a sé. Il minimo comun denominatore dovrebbe essere la tutela del suolo, per il bene di tutti e tutte.

 

marco boscolo – formicablu

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