Pubblichiamo un commento al documento finale della COP28 scritto da Anna Pirani, ricercatrice del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), un centro di ricerca internazionale che si occupa di studiare il clima e le sue implicazioni per la società. In particolare, Pirani lavora nella divisione “Valutazione del rischio e strategie di adattamento” e segue da anni le negoziazioni e la politica del clima. Era presente durante la Conferenza di Dubai.


Il 13 dicembre scorso i quasi 200 paesi membri della Convenzione sul clima delle Nazioni Unite hanno finalmente trovato un’intesa sul primo Global Stocktake, il Bilancio Mondiale dell’Accordo di Parigi. Si tratta di un documento dal valore che potremmo definire storico sotto una molteplicità di aspetti. Infatti, è la prima volta che i combustibili fossili sono stati esplicitamente inclusi in una decisione della Convenzione sul clima. Dopo 28 anni di negoziati (la prima COP, la COP1, si era tenuta a Berlino tra il 28 marzo e il 7 aprile del 1995, Ndr), i paesi membri hanno finalmente riconosciuto nei combustibili fossili la fonte principale delle emissioni antropiche che causano i cambiamenti climatici. Si tratta di una presa d’atto che implica anche la necessità di abbandonare il loro uso e consumo se vogliamo limitare l’aumento delle temperature della superficie della Terra e i cambiamenti climatici.

 

Importanza di parole e definizioni

Durante le negoziazioni si è discusso a lungo sull’uso di due termini, ovvero ‘transition away’ in alternativa a ‘phase-out’. Ma ci sono state anche altre proposte portate avanti da interessi politici ed economici di varia natura, tanto che nelle prime bozze del testo erano formulate anche proposte che non menzionavano affatto i combustibili fossili, provocando l’opposizione e il rifiuto dell’Unione Europea e di altri blocchi negoziali, incluso il gruppo dei piccoli stati insulari.

Il testo finale può essere oggetto di critiche per non aver individuato una tempistica chiara, oltre che per conseguire l’obiettivo di arrivare a net zero entro la metà di questo secolo senza averne fornito una definizione specifica. Ciononostante il messaggio del testo conclusivo risulta ormai chiaro a tutti, con la consapevolezza che le riduzioni delle emissioni di gas serra nell’intero settore energetico richiedono transizioni energetiche importanti, tra cui una sostanziosa riduzione dell’uso complessivo di combustibili fossili, l’uso di fonti energetiche a basse emissioni, il passaggio a vettori energetici alternativi (in particolare a energie rinnovabili) nonché l’aumento di efficienza energetica. Queste azioni, in particolare la riduzione di emissioni di anidride carbonica fino ad arrivare a uno zero netto tra emissioni e rimozioni antropiche sono ciò che rende possibile il rallentamento e la stabilizzazione delle temperature medie della superficie terrestre.

 

Impegni ambiziosi, ma non sufficienti

I paesi membri hanno inoltre, esplicitamente e per la prima volta, espresso l’ambizione di limitare il riscaldamento globale a 1.5 °C rispetto al periodo pre-industriale, superando persino gli obiettivi collettivi individuati dall’Accordo di Parigi e riconoscendo l’urgenza di affrontare la crisi climatica in questo decennio critico. Il 2023 è destinato a iscriversi nei libri di storia come l’anno più caldo mai registrato finora. L’impatto dei cambiamenti climatici che ne conseguono, con incluse perdite e danni irreversibili, sono oramai registrabili purtroppo in ogni parte del mondo.

A partire dal 2020, e con cadenza quinquennale, gli stati sono chiamati a presentare i loro piani di contributi nazionali (nationally determined contributions) alla Convenzione sul clima, con il fine di realizzare questi obiettivi nel decennio a seguire, e aumentando le ambizioni con ogni aggiornamento successivo.

Il Bilancio Mondiale dell’Accordo di Parigi richiede ai paesi di preparare i loro contributi nazionali previsti per il 2025 in linea con un percorso che limita il riscaldamento globale a 1.5 °C, riconoscendo la necessità di riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra. Questo primo Bilancio Mondiale costituisce quindi la prima valutazione degli impegni presi dai paesi riguardo alle modalità con cui contribuiranno alla riduzione delle proprie emissioni da quando hanno firmato l’Accordo di Parigi. Le emissioni di anidride carbonica del 2023 derivanti dai combustibili fossili sono aumentate nuovamente dell’1,1% rispetto all’anno precedente. Dall’analisi degli impegni assunti dai singoli paesi, le proiezioni delle emissioni che ne derivano sino al 2030 purtroppo non sono positive e indicando che supereremo un riscaldamento globale di 1.5 °C nel corso del secolo, e che sarà difficile limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C.

 

Serve uno sforzo maggiore 

Consapevoli che a ogni aumento dei valori delle temperature si intensificheranno gli impatti negativi causati dai cambiamenti climatici, dobbiamo cambiare rotta entro questo decennio critico. Per limitare il riscaldamento globale a 1.5 °C entro la fine del secolo dobbiamo oltrepassare il picco di emissioni nei prossimi anni, per poi diminuire le emissioni globali di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto al livello del 2019 e raggiungendo lo zero netto di emissioni di anidride carbonica entro il 2050. L’Italia, come tutti gli altri paesi, deve agire concretamente per accelerare la decarbonizzare della propria economia, al fine di evitare le conseguenze peggiori derivanti dai cambiamenti climatici, e deve orientarsi verso un futuro sostenibile che salvaguarda il benessere delle persone e della natura.

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