Se la nuova direttiva europea sull’efficienza energetica degli edifici vedrà la luce, servirà la collaborazione di tutti per farla funzionare a livello locale. Le grandi città, specialmente quelle impegnate nelle neutralità climatica come Bologna, avranno un ruolo importante. Il commento di Masha Smirnova di Eurocities.


Nella lotta ai cambiamenti climatici l’efficienza energetica è spesso definita un obiettivo a portata di mano. Per esempio, isolare termicamente un edificio non richiede tecnologie particolarmente complesse, si può fare in un tempo piuttosto breve, e dà subito risultati in termini ambientali, sicurezza energetica, qualità della vita. Nella pratica, l’efficientamento energetico degli edifici europei procede a passo di lumaca (circa l’1% all’anno), da qui la necessità della nuova direttiva europea in discussione, che però deve superare molti ostacoli.

In Europa le proposte di legge nascono in Commissione e sono poi sottoposte al Consiglio e al Parlamento. Il parlamento vota la sua posizione, il Consiglio (composto dai capi di Stato) la può accettare oppure può provare a modificarla. Solo se è raggiunto un accordo tra queste parti nasce la legge. Per agevolare i negoziati sono organizzati i “triloghi”, cioè riunioni tra membri della Commissione, del Consiglio, e del Parlamento. Sappiamo già che le posizioni al momento sono diverse e si dovrà lavorare a un ulteriore compromesso, che potrebbe portare a esenzioni a livello nazionale tali da indebolire l’impianto della legge.


Leggi anche Che cosa dice la proposta di legge europea sull’efficienza energetica degli edifici


Contattata dalla redazione di Chiara Eco, Masha Smirnova, responsabile della campagna per il Green Deal Europeo presso il network Eurocities, ha commentato il fatto che le leggi europee a livello nazionale spesso sono presentate come un’imposizione, senza considerare appunto che sono il frutto di un lungo lavoro di confronto. Se la legge dovesse passare, la sua applicazione sarà quindi una grande sfida per tutta l’Unione, perché ci sarà bisogno della collaborazione della popolazione. Gli edifici sono in maggioranza di privati e in molti casi si tratta di piccoli proprietari che fino a ora hanno evitato gli interventi per una varietà di cause, dall’impossibilità economica alla burocrazia.

Anche in questo caso quindi le città e il governo locale possono avere un ruolo essenziale. Questo è particolarmente vero per una città come Bologna, che si è impegnata nella Missione EU Città neutrali. La Missione, punta a raggiungere la “neutralità climatica” a livello locale entro il 2030, e a rendere le città selezionate capofila della transizione. Un altro motivo è che proprio a Bologna si sta sperimentando l’Assemblea cittadina per il clima, uno strumento di democrazia deliberativa che punta a rendere più efficaci e condivise le decisioni sulla transizione ecologica

Spiega Smirnova:

Oltre al fatto che le città amministrano un ampio portafoglio di edifici, non si tratta solo di spiegare che dobbiamo essere neutrali dal punto di vista climatico. Si tratta di raggiungere questi benefici per la società, che comprendono gli obiettivi climatici, l’efficienza energetica, la riduzione della povertà energetica, e la protezione delle famiglie vulnerabili. Le città devono essere responsabilizzate in quando parte del percorso, dando loro gli strumenti giusti, per migliorare anche le conoscenze dei cittadini in materia di energia e rendere più visibili gli obiettivi climatici, talvolta astratti. Con la sua lunga tradizione di assemblee cittadine e impegno civico penso che Bologna se la cavi particolarmente bene in questo senso

Secondo i dati del PAESC (Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima) del Comune, gli edifici bolognesi incidono per il 70% delle emissioni cittadine, ma – nota sempre Smirnova – la nostra città subisce già in modo molto tangibile gli effetti del riscaldamento globale sotto forma di ondate di calore, che mette a rischio soprattutto (ma non solo) i numerosi anziani. Ambiente a parte, l’efficientamento energetico permette quindi di rendere le abitazioni più vivibili, in inverno come in estate.

La direttiva mette al primo posto la protezione delle fasce più deboli e guarda a lungo termine, cioè a stimolare l’economia del settore edilizio in modo virtuoso e continuativo per evitare il solito ciclo di boom nelle costruzioni, seguito dalla contrazione. I benefici netti auspicati sono per l’intera società, ma è chiaro che non tutti devono contribuire allo stesso modo, secondo un modello progressivo. 

Forse c’è anche una tendenza a tutelare la classe proprietaria in Italia, ma qui si tratta anche di equità sociale. Voglio dire, qualcuno che possiede cinque appartamenti a Roma e Milano potrebbe potenzialmente contribuire a poco più di chi possiede un appartamento di 50 mq.

stefano dalla casa – formicablu

 

Scrivi un commento

Un progetto di Fondazione Innovazione Urbana