La Commissione Europea ha approvato un pacchetto di proposte per ridurre del 55% le emissioni continentali entro il 2030.

 

“I nostri sforzi per affrontare il cambiamento climatico devono essere politicamente ambiziosi, coordinati globalmente e socialmente giusti”. Così si è espresso il Commissario EU per l’Energia Paolo Gentiloni il 14 luglio scorso quando la Commissione ha annunciato le nuove tappe per ridurre le emissioni di gas serra. L’iniziativa è il primo passo della legge europea sul clima e indica quali strumenti saranno adottati nei prossimi anni all’interno della cornice del Green Deal, il Patto Verde della Commissione stessa.

Gli obiettivi? Arrivare al 2030 con una riduzione del 55% delle emissioni rispetto ai valori del 1990. Un proposito ambizioso, ma come ha dichiarato Nebojsa Nakicenovic, economista esperto di energia dell’Istituto internazionale per l’analisi dei sistemi applicati e dell’Università tecnica di Vienna e consulente scientifico dell’Unione Europea, “si tratta di uno sforzo erculeo, ma fattibile”. Certo, ha anche aggiunto che l’Europa deve dimostrarsi “determinata a utilizzare un approccio olistico”, rimuovendo le “barriere tra le tecnologie, mettendo a punto regolazioni normative e di mercato, e attraverso cambiamenti sociali e comportamentali”.

Almeno sulla carta, la nota stampa di presentazione della Commissione va in questa direzione, sottolineando che nonostante la serie di strumenti, si tratta di proposte “interconnesse e complementari”: solo così si può garantire una “transizione che renda l’Europa equa, green e competitiva”. Il tempo dirà se alle parole sono seguiti i fatti. Qui di seguito vediamo i principali strumenti che durante l’estate sono diventati parte integrante della legge UE sul clima e che dovranno essere adottati dai paesi membri.

Il video teaser della Commissione Europea sugli obiettivi del Green Deal.

Il sistema di scambio delle emissioni

Come sottolineato dal direttore dell’Istituto europeo per l’economia e l’ambiente Massimo Tavoni su lavoce.info, il principale strumento previsto dal Fit for 55 è il sistema di scambio delle emissioni (ETS). L’ETS si basa sul principio “cap and trade” (letteralmente “tetto e scambio”): viene fissato un tetto alla quantità totale di gas serra che possono essere emessi dagli impianti coperti dal sistema e si riduce nel tempo in modo che le emissioni totali diminuiscano progressivamente. 

L’ETS oggi riguarda i settori dell’industria e della produzione di elettricità e fissa al momento il prezzo delle emissioni di equivalenti di CO2 a 50 euro per tonnellata. L’idea alla base del sistema è che mettendo un prezzo, di fatto una sorta di tassa sulle emissioni, le aziende siano incentivate a ridurre le proprie emissioni. I fondi ricavati da questo sistema, si legge nel documento, serviranno ai Paesi membri a finanziare progetti sul clima e il settore energetico.

L’ETS è già attivo e deriva da precedenti iniziative della Commissione in termini di riduzioni delle emissioni, ma ne aggiorna gli obiettivi: il 60% in meno rispetto al dato del 2005 entro il 2030. Altra novità è che viene esteso anche al settore dell’aviazione e del trasporto marittimo interno all’Unione Europea.

 

Il ruolo delle fonti rinnovabili

La produzione di energia elettrica e il suo uso è responsabile, si legge nel documento, del 75% delle emissioni dell’Unione e per questo motivo Fit for 55 spinge verso l’aumento fino al 40% della produzione energetica da fonti rinnovabili entro il 2030. L’obiettivo precedente era il 32%, ma può contare sulla riduzione del costo dell’energia delle rinnovabili degli ultimi anni. Come fa notare Massimo Lombardini, esperto di energia dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), questa congiuntura favorevole ha permesso “nel 2019 al solare e all’eolico di produrre congiuntamente più elettricità del carbone nell’Unione europea”.

Un punto invece controverso che riguarda questa direttiva sull’energia da fonti rinnovabili riguarda che cosa si può considerare effettivamente “rinnovabile” e cosa no. Il dibattito ruota soprattutto attorno alla bioenergy, di fatto l’energia da biomassa. La preoccupazione di gruppi come per esempio Fern, che si occupa della tutela delle foreste e delle popolazioni che le vivono, è che considerando fonte rinnovabile la bioenergia si rischi di incentivare l’abbattimento di boschi e foreste continentali. Una situazione che non sembrerebbe sufficientemente bilanciata dall’obiettivo di piantare 3 miliardi di nuovi alberi nei prossimi nove anni. Fern e altri critici di questa iniziativa fanno notare che non si dovrebbe incentivare all’abbattimento delle foreste, perché questi ambienti sono efficaci sequestratori di carbonio.

Gli obiettivi per il 2030 in una infografica Commissione Europea

L’efficienza deve aumentare

Accanto alla richiesta agli Stati membri di aumentare la quota di energia da rinnovabili, le proposte della Commissione prevedono un aumento dell’efficienza: la richiesta è di ridurre del 39% il consumo di energia e si tratta di una richiesta vincolante. In termini numerici significa che per il 2030 non si dovrà superare un consumo di 1023 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.

Un ruolo fondamentale in questo settore dovrebbero averlo i fondi del Recovery Plan, ma si tratta forse più di un auspicio, visto che in generale, come abbiamo visto a giugno scorso, almeno per quanto riguarda l’Italia nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza le indicazioni di spesa nella transizione energetica sono piuttosto deboli. L’Europa, invece, chiede che il settore pubblico si rinnovi in termini di efficienza e sostenibilità il 3% degli immobili, ma non dà vincoli per il settore privato. 

 

La fine del motore a scoppio?

Grande discussione si è sviluppata sui media e tra gli osservatori sulla proposta di ridurre del 100% le emissioni causate dai veicoli entro il 2035 o il 2040. L’idea di una flotta di veicoli completamente neutra in termini di emissioni di gas climalteranti (almeno per quanto riguarda la circolazione, non la loro produzione) entro la metà di questo secolo è qualcosa che molti ritengono irrealistico

Ciò implicherebbe che partire dal 2035 nessun veicolo nuovo, diesel a benzina o ibrido, sia più venduto. Per Lombardini, c’è da registrare un problema nel tenere bassi i prezzi di questi veicoli completamente elettrici (o comunque privi di un motore a scoppio come lo conosciamo oggi) e la freddezza – non sorprendente – della stessa industria automobilistica, oltre che di diversi stati membri.

 

di marco boscolo – formicablu

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