Il rapporto Transizione Ecologica Aperta ci ricorda del rischio industriale nel nostro paese. Molti siti “Seveso” si trovano nella nostra regione
Il report Transizione Ecologica Aperta – Dove va l’ambiente italiano?, uscito lo scorso dicembre, è una pubblicazione Ispra rivolta a non specialisti che ha l’obiettivo spiegare lo stato e i possibili sviluppi dell’ambiente italiano, in particolare rispetto agli obiettivi della cosiddetta “transizione ecologica”.
Il documento è diviso in tre parti: L’ambiente italiano a colpo d’occhio, I sistemi naturali, I sistemi umani, per un totale di 12 capitoli e 66 voci. Nella terza parte, all’interno del capitolo dedicato all’industria, è trattato anche il rischio industriale, alla voce Gli stabilimenti con pericolo di incidente rilevante.
Questo aspetto dell’impatto industriale sull’ambiente è forse meno visibile rispetto all’inquinamento o al consumi di energia, ma è esiste e riguarda tutti da vicino. In particolare chi vive in Emilia-Romagna.
Che cos’è il rischio industriale
Il 10 luglio 1976 un incidente alle Industrie Chimiche Meda provocò la fuoriuscita di diossine, in quantità tale da formare una nube tossica che si diffuse nell’area circostante. Centinaia di persone furono intossicate, migliaia di animali morirono, e intere aree contaminate. Eppure, per oltre una settimana, la popolazione intorno alla centrale non era nemmeno stata informata di quello che sarebbe diventato il disastro di Seveso.
L’evento ebbe una risonanza mondiale e stimolò la creazione di leggi specifiche a livello europeo. Nel 1982 nacque a questo scopo la direttiva europea Seveso, che stabilisce diverse disposizioni sia per prevenire incidenti agli impianti industriali che detengono sostanze pericolose, sia per la loro mitigazione. Stabilisce, per esempio, che tutti gli impianti a rischio di incidenti con ripercussioni sui persone e territorio siano censiti, controllati periodicamente e tenuti in considerazione rispetto allo sviluppo urbano circostante. Prevede inoltre procedure di intervento condivise in caso di emergenza, e l’obbligo di comunicare alla popolazione queste informazioni.
Quello che si chiama rischio industriale, in questo contesto è, più precisamente, il rischio di incidente rilevante in un impianto industriale. In ogni attività industriale, infatti, si verificano incidenti, ma sono definiti rilevanti quelli che, come nel caso di Seveso, hanno conseguenze oltre i limiti dello stabilimento stesso. Il rischio di questi incidenti esiste ovunque siano stoccate grandi quantità di sostanza ritenute pericolose. In Italia, secondo il rapporto Transizione Ecologica Aperta, a ottobre 2021 erano censiti 981 siti.
470 di questi sono di Soglia inferiore e 511 di Soglia superiore. Questa classificazione dipende dal quantitativo di sostanze pericolose che, oltre una certa soglia, innescare procedure di controllo più severe rispetto a quelle previste per gli stabilimenti di Soglia inferiore.
Essendo l’Italia un paese altamente industrializzato il numero dei siti RIR (rischio di incidente rilevante) costituisce una frazione delle attività industriale, non per questo la loro presenza va sottovalutata. Infatti, spiega sempre il rapporto, dai dati della commissione europea risultano 15 incidenti negli ultimi 10 anni, che hanno danneggiato materiali e ambiente, mentre fortunatamente l’impatto sulle persone sarebbe stato contenuto.
I siti RIR in Emilia-Romagna
L’Emilia-Romagna è la regione che ospita più siti RIR, detti anche siti “Seveso”. Nell’inventario presente sul sito della Transizione Ecologica sono presenti 84 siti, di cui 54 classificati come Soglia superiore. Con 35 stabilimenti, di cui 27 di soglia superiore, Ravenna è la provincia con maggiore densità; nella provincia di Bologna se ne contano 16, 9 di soglia superiore. Secondo la sezione dedicata al rischio industriale dell’ARPA Emilia-Romagna, negli ultimi anni in regione si osserva una tendenza alla diminuzione dei siti, ma in proporzione aumentano i siti di Soglia superiore.
La tipologia dei siti emiliano romagnoli è simile a quella nazionale: la maggior parti di essi sono legati al settore petrolchimico e molti di questi operano nello stoccaggio e distribuzione di combustibili. Sono tuttavia rappresentati anche altri tipi di industrie (produzione di fertilizzanti, pesticidi, trattamento dei metalli, distillerie, ecc…).
L’Emilia-Romagna ha recepito nel 2016 la normativa nazionale, che a propria volta ha recepito l’ultimo aggiornamento della Seveso (detta Seveso III). Anche se la transizione ecologica potrebbe in teoria ridurre nel tempo alcune industrie, il rischio industriale non può essere totalmente azzerato. Per questo, fin dalla prima normativa Seveso, è fondamentale la comunicazione ai cittadini. Il rapporto TEA infatti ricorda che
“Il compito di aggiornare le informazioni sugli stabilimenti “Seveso” presenti sul territorio, in modo che la popolazione possa avere parte attiva nei processi decisionali, è affidato ai Sindaci dei Comuni interessati, che devono preparare una “notifica”, in pratica una vera e propria carta d’identità dello stabilimento.”
Le principali informazioni sui siti Seveso presenti su un territorio sono pubblicamente accessibili attraverso diversi canali, sia dal sito del proprio comune che attraverso le agenzie che se ne occupano (ISPRA e ARPA). Nel caso della regione Emilia Romagna è disponibile anche un database open data, che al momento è aggiornato a dicembre 2020.
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stefano dallacasa – formicablu
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