L’Emilia-Romagna a maggio ha introdotto una legge regionale a sostegno delle comunità energetiche, ma forse non tutti sanno che le prime iniziative in questa direzione sono cominciate più di un decennio a partire dall’hinterland bolognese.


Oggi in Italia esistono solo una ventina di comunità energetiche, cioè coalizioni tra utenti (dai privati cittadini agli esercizi commerciali) che cooperano per produrre, consumare e condividere energia rinnovabile. Sono viste come uno dei molti pilastri su cui costruire la decantata transizione energetica, ma sono ancora poche. E proprio per questo motivo si attendono con ansia i decreti attuativi che permetterebbero di incentivarle grazie a una parte dei fondi del Pnrr.

Infatti nel 2021, l’Italia le ha riconosciute con una legge nazionale, e anche le regioni stanno approvando le leggi regionali, ma dopo molti mesi mancano appunto i decreti. Nell’attesa, vale la pena ricordare che le comunità energetica in Italia non sono proprio una novità, e proprio vicino a Bologna oltre 10 anni fa sono cominciate le sperimentazioni delle comunità solari, che non sono altro che un tipo particolare di comunità energetica.

 

La nascita delle Comunità Solari Locali

La storia comincia nel 2010 col progetto pilota SIGE (Sistema Integrato per la Gestione dell’Energia), finanziato dalla Regione. All’epoca già molti parlavano di transizione energetica, e l’Università di Bologna sviluppò un modello per Comunità Solari Locali da attivare nei comuni del Bolognese. I comuni (Casalecchio, Medicina, Sasso Marconi, Zola Predosa) avevano a disposizione superfici pubbliche su cui installare impianti fotovoltaici, e hanno emanato dei bandi che impegnavano le ditte coinvolte a finanziare con una parte degli utili un fondo da restituire alla collettività. In che modo? Incentivando l’autoconsumo, cioè lo sfruttamento dell’energia prodotta in eccesso dai pannelli all’interno della stessa rete di bassa tensione. Questo è possibile associandosi alla Comunità Solare Locale: le famiglie “adottano” un pezzo di pannello solare vengono dotate di uno smart meter che misura il consumo dell’abitazione nel momento in cui c’è disponibilità di energia prodotta dai pannelli. Se una famiglia o un’azienda possiede a sua volta un impianto fotovoltaico, anche quell’impianto diventava parte della rete e la sua energia in eccesso poteva essere consumata a livello locale.

Il primo vantaggio per chi aderisce alle associazioni, che ora sono gestite dallo spin-off Unibo Centro per le comunità solari,  è uno sconto in bolletta commisurato alla quantità di autoconsumo, ma il Centro guida i cittadini anche verso le buone pratiche per diventare energeticamente più efficiente. Nel tempo le comunità sono cambiate, per esempio ora a Medicina il progetto ha installato colonnine di ricarica per veicoli elettrici, che gli associati utilizzano in autoconsumo a un costo molto conveniente.

 

Comunità Solari Locali e Comunità Energetiche Rinnovabili

In sostanza, come spiega il coordinatore del progetto Leonardo Setti, una Comunità Energetica Rinnovabile non è altro che uno strumento giuridico che regolamenta e incentiva l’autoconsumo. La Comunità Solare Locale è nata quando questo strumento non esisteva, ma opera in maniera molto simile. In entrambi i casi c’è un fondo che serve a erogare gli incentivi, e anche la comunità energetica da legge prevede la formula dell’associazione tra cittadini per distribuire i benefici.


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Ci sono però delle differenze. Il fondo delle comunità energetiche è pubblico, mentre il fondo delle Comunità solari è alimentato prevalentemente da imprese nell’ambito della responsabilità sociale di impresa. Questo, spiega Setti nei suoi webinar, fa sì che si formi un’economia di prossimità, dove tutti gli attori coinvolti in qualche modo guadagnano. Finché questo sistema regge, come ha fatto negli ultimi 11 anni nei comuni pilota, le comunità solari possono premiare l’autoconsumo per un tempo indefinito con uno sconto diretto in bolletta. D’altro canto una comunità energetica, se non dovesse essere più disponibile il fondo pubblico, potrebbe ancora autoconsumare, ma non sarebbe remunerata perché l’associazione non riceverebbe il rimborso da redistribuire, secondo le modalità decise dall’associazione.

Inoltre, anche se la legge è una grande opportunità per allargare l’autoconsumo e lo sviluppo delle rinnovabili, secondo Setti occorre semplificare molto la sua applicazione, cercando di intercettare anche quei cittadini che non sono così “dentro” al problema energetico. Il modello della comunità solare locale era nato appunto con questo obiettivo, e ha dato i suoi frutti: ci sono cittadini che, iscritti dapprima come “consumer” , cioè soli consumatori di energia rinnovabile e a buon mercato, sono poi diventati “prosumer” decidendo di installare un impianto fotovoltaico, fino ad arrivare all’acquisto di un’auto elettrica da ricaricare alla propria colonnina di fiducia.


Ascolta il podcast: Energia di comunità


A che punto siamo col decreto attuativo

Le risorse del Pnrr destinate alle comunità energetiche rinnovabili ammontano a 2,2 miliardi di euro, ma siamo in attesa dei decreti attuativi del decreto legislativo 199/2021. Nonostante la caduta del governo e le prossime elezioni, l’esecutivo si è detto «impegnato nell’attuazione legislativa, regolamentare e amministrativa del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari (Pnc)». Quindi c’è da ben sperare anche per le Comunità Energetiche Rinnovabili, anche se a questo proposito si attende ancora che Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) chiuda la consultazione pubblica. Nel frattempo l’ENEA ha attivato il portale Recon, dove è già possibile valutare, attraverso una simulazione, la possibilità di creare una Comunità Energetica Rinnovabile.

 

stefano dalla casa – formicablu

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