Un fondo da 191,5 miliardi di euro per l’Italia (non sono più 209), un piano (PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) da preparare entro il 30 aprile, un governo non semplice da governare, un mondo industriale in trepida attesa e un piano per spendere le risorse in linea con le richieste EU.


«Le risorse europee saranno disponibili alla fine dell’estate con i pre-finanziamenti al 13%. Per il nostro paese il Piano è una occasione molto importante, rende possibile affrontare in modo coordinato e con rilevanti mezzi alcuni problemi strutturali», ha dichiarato il ministro dell’Economia Daniele Franco davanti alle Commissioni Bilancio, Finanze e Politiche Ue di Camera e Senato l’8 marzo. «È evidente che nell’utilizzo ci dobbiamo muovere su tempi molto più rapidi di quelli visti finora con i fondi europei che mostrano un tasso di utilizzo molto contenuto». Una sfida immane, che rimette in gioco in larga parte il piano elaborato dal Conte II. Circa 71 miliardi dovranno andare per la decarbonizzazione e la ripresa verde, cercando di migliorare le storture del piano precedente.

Il testo del 12 Gennaio, secondo quasi tutti gli intervistati per questo pezzo risulta poco focalizzato sulle priorità per la decarbonizzazione e sul reale peso delle aree di progetto. Molto spesso le spese in elenco erano indirizzate a dimensioni green ma senza un impatto significativo rispetto alla strategia di decarbonizzazione. Inoltre l’ultimo documento aveva una debolezza chiave: non aveva l’allegato con i progetti, rimasti nei cassetti del MEF. Tante le richieste invece che sono state avanzate da una decina di intervistati da Chiara.Eco oltre ai singoli progetti di area: maggiore attenzione a elettrificazione e transizione dei trasporti, investimento in rinnovabili, eliminazione dei sussidi alle fonti fossili da compensare con SAF (Sussidi ambientalmente favorevoli), stop al sostegno di progetti fossili, inclusi i mandati delle istituzioni finanziarie pubbliche, CDP, Invitalia e SACE affinché adottino come già fatto dalla BEI, delle liste d’esclusione per le fossili. Numerose anche le richieste di misure per la semplificazione delle procedure autorizzative e degli investimenti in digitalizzazione e formazione, temi particolarmente cari al Ministro Cingolani e che probabilmente saranno una degli elementi chiave del PNRR, dai permessi per i nuovi impianti ai famosi End of Waste, per l’utilizzo degli scarti in processi industriali.

Energie Rinnovabili

È il tema più complesso da affrontare. Gianni Silvestrini, direttore scientifico Kyoto Club offre un angolo interessante. «IL PNRR deve dare gambe alla reindustrializzazione green dell’Italia, come sta facendo anche l’America, lavorando con consorzi a scala europea, dando così alla green economy un’ossatura industriale», spiega. «Si deve produrre batterie, elettrolizzatori, inverter e anche pannelli solari, grazie ai costi sempre più ridotti dell’automazione che ci possono rendere concorrenziali con la Cina». Magari con il vantaggio di avere un’impostazione circolare, spingendo quindi sul fine vita dei prodotti e sui processi di remanufacturing. Usando quindi i fondi per recuperare una battaglia persa 20 anni fa per sostenere la rivoluzione dell’elettrificazione. Impostando un discorso di sistema industriale europeo (che non farebbe certo storcere il naso a Bruxelles).

Energie rinnovabili

Fonte: Pixabay

«Serve più “vision”, ma anche più concretezza di azione e per l’azione, in quegli ambiti un po’ più di frontiera dove la consapevolezza dell’asse del tempo per il conseguimento della cost parity è essenziale» spiega Stefano Venier, AD di Hera, critico sul capitolo idrogeno «che resta da scrivere. Si necessita di un piano di azioni concreto, un percorso chiaro rispetto a idrogeno verde e blu, di interventi di coordinamento con l’evoluzione normativa e regolatoria europea (come ad esempio sui certificati di origine), di meccanismi di sostegno dove la hydrogen parity o i benefici non sono lontani dall’economicità (sia sul fronte ETS, sia su quello dei Titoli di Efficienza Energetica, per fare un esempio), di chiarimenti su elementi che rischiamo di frenare ogni possibile sviluppo e di stretta natura italiana (come l’applicazione degli oneri di sistema o la doppia imposizione fiscale nei sistemi power-to-gas), di un quadro che semplifichi la realizzazione dell’impiantistica e la nascita delle hydrogen valley». Il mondo ambientalista, da Legambiente a T&E criticano la pressione di Eni per gli impianti di produzione di idrogeno blu da fossili abbinati a sequestro e stoccaggio di CO2. «Tali processi rappresentato un’opzione non significativa nel percorso di decarbonizzazione e risultano costosi ed incerti rispetto alla sostenibilità», sostiene Veronica Aneris di T&E. Secondo Gianni Silvestrini produrre ora tanto idrogeno blu significa «avere stock di materia inutilizzata, dato che manca la domanda». Inoltre sulla cost-parity dell’idrogeno «si raggiungerà già nel 2030, secondo alcuni produttori di elettrolizzatori già nel 2025». Meglio quindi affidarsi allo sviluppo industriale dell’idrogeno verde, come tanti paesi, dalla Germania all’Australia, puntando anche sull’industria italiana di fuel cell e elettrolizzatori.

Sulle rinnovabili Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, è tranchant: «Il PNRR riuscirà ad indirizzare il nostro Paese verso la transizione ecologica se e solo se verrà attuato un processo di semplificazione e digitalizzazione profonda. Per riuscire a implementare i 65 GW di nuovi impianti rinnovabili, necessari a raggiungere il target del Green Deal, dobbiamo poter contare quanto prima sulle necessarie misure, partendo dall’attuazione del DL Semplificazioni approvato la scorsa estate. E’ importante che la Pubblica Amministrazione sempre più investa sulla formazione delle persone e come settore elettrico confidiamo che i responsabili delegati ad esaminare le istanze autorizzative siano, anche in numero, adeguati. Non perdiamo l’opportunità di sviluppare nuovi impianti per la produzione di energia nelle aree industriali dismesse e in quelle agricole abbandonate e di permettere agevolmente il rinnovamento del parco elettrico rinnovabile nazionale».

Economia Circolare

Nel piano precedente erano stati allocati circa 5 miliardi. Ma l’impianto del piano Conte è stato fortemente criticato da più parti. Secondo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, «Serve puntare sulla semplificazione degli iter autorizzativi degli impianti di trattamento e degli iter di definizione dei decreti End of Waste. Bisogna dare poi priorità assoluta agli impianti per trattare l’organico per produrre compost di qualità e biometano, in particolare nel Centro-Sud. Ma servono anche impianti specifici: come quelli per i prodotti assorbenti, per le terre di spazzamento e i rifiuti speciali e pericolosi. Serve anche una strategia per i rifiuti da costruzione e demolizione. Altro elemento chiave: creare un sistema di impianti e progetti per garantire la bioeconomia circolare nelle aziende agricole che possono dare un contributo importante nella decarbonizzazione, ad esempio con produzione di biometano per i mezzi agricoli».

Per Luca Ruini, Presidente di Conai è importante colmare il gap nord-sud (ma anche alcune vulnerabilità in regioni come la Liguria) sulla raccolta differenziata e il riciclo. «Lo sviluppo e la realizzazione di impiantistica per l’attività di riciclo e recupero è fondamentale». Serve sostenere progetti di semplificazione, sburocratizzazione e digitalizzazione delle attività amministrative che riguardano il settore dei rifiuti e dell’economia circolare, cominciando, ad esempio, da la riforma dei procedimenti amministrativi per il rilascio ed il rinnovo delle autorizzazioni e del relativo sistema dei controlli, con drastica riduzione delle tempistiche, la piena digitalizzazione in tempi rapidi degli adempimenti ambientali a carico delle imprese e la semplificazione delle procedure per i sottoprodotti e per l’End of Waste.

Digitalizzazione

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Sono quattro invece le proposte imprescindibili di FISE Assoambiente – Unicircular, associazione di categoria di riferimento. «Serve l’applicazione di una aliquota IVA ridotta ai prodotti costituiti (interamente o in parte) da beni certificati riciclati o preparati per il riutilizzo» – spiega Chicco Testa, presidente Fise Assoambiente – la concessione di contributi, sotto forma di credito d’imposta, ai soggetti che acquistano prodotti riciclati per utilizzarli direttamente nei propri cicli di produzione; l’estensione di agevolazioni fiscali alle imprese in possesso di certificazione ISO 14001 al fine di incentivare quei soggetti che investono in sistemi di qualificazione ambientale; l’estensione del Bonus 110% alla riqualificazione tramite l’impiego, nella costruzione degli edifici, di aggregati riciclati e prodotti realizzati con aggregati riciclati».

Acqua

Con riferimento alla componente “Tutela del territorio e della risorsa idrica”, l’attenzione dell’ultima versione del PNRR si focalizza sull’ammodernamento delle infrastrutture idriche lungo l’intera filiera, ma le risorse ad oggi individuate sono ancora lontane dal poter efficacemente abilitare un percorso di superamento delle infrazioni comunitarie, di evoluzione delle reti per rispondere alle minacce e ai rischi esogeni legati al cambiamento climatico e per raggiungere il livello medio di resilienza del sistema necessario. Utilitalia stima un fabbisogno di 30 mld € per rinnovare gli asset dell’intero ciclo idrico integrato, mentre il PNRR riserva solo 2,5 mld € che con la leva tariffaria possono arrivare al massimo a 5 mld €. «Il PNRR dovrebbe sostenere l’evoluzione verso una progressiva riduzione del water footprint dell’assetto produttivo e agricolo. Una sorta di modello Industria 4.0 sulla dimensione dell’ottimizzazione nell’utilizzo della risorsa idrica o in alternativa una estensione dei Titoli di Efficienza Energetica per ricomprendere anche questa dimensione di “efficientamento” che ha un effetto indiretto sul consumo di energia elettrica», commenta Stefano Venier, AD di Hera. «Attendiamo con fiducia le decisioni del nuovo esecutivo. Quello che abbiamo potuto leggere fino ad oggi sul settore idrico appare ancora insufficiente», spiega Alessandro Russo, amministratore delegato di Gruppo CAP. «Certo ci sono scelte importanti sulle infrastrutture di adduzione ci cui il sud Italia ha disperatamente bisogno, ma manca una visione di sistema in cui idrico, cambiamenti climatici e economia circolare siano fortemente connesse. La crisi climatica colpisce con fenomeni meteorologici estremi già oggi numerose città del centro e nord Italia. E la situazione non è destinata a migliorare in futuro; anzi. Per questo servono investimenti importanti sulla trasformazione e la resilienza delle aree urbane, sulla prevenzione e la mitigazione dei cambiamenti climatici. Le utility in generale e quelle dell’idrico in particolare possono giocare, se messe nelle condizioni giuste, un ruolo fondamentale per la transizione verso un’economia resiliente e circolare».

Eventi estremi

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Secondo Utilitalia sono centrali la riforma del servizio idrico al Sud, con un forte indirizzo statale che assicuri l’affidamento del servizio a un soggetto industriale. Ipotesi che movimenti e associazioni rimandano al mittente. Per Marirosa Iannelli, presidente di Water Grabbing Observatory «è importante chiudere sulla legge per l’acqua pubblica e sostenere il servizio gestito da soggetti pubblici virtuosi. Inoltre serve sostenere le azioni di adattamento che comprendano la gestione delle infrastrutture idriche pensando all’uso industriale e agricolo. Oggi solo Emilia Romagna e Marche hanno piani di adattamento che includono gestione delle acque non solo per rischio idrogeologico ma anche industriale e agricolo»

Per Stefano Ciafani «fondamentale usare i soldi per i depuratori di nuova generazione: questi infatti oltre a gestire i fanghi di depurazione per produrre biometano, biomateriali, e ridurre i consumi energetici, possono dare all’agricoltura acque reflue depurate». Una strategia necessaria per sostenere l’agricoltura e la fertilizzazione e rigenerazione del suolo. «Dobbiamo inoltre riqualificare le città dal punto di vista idrico per impiegare le acque piovane captate per vari usi, urbani e agricoli», continua Ciafani. «Come abbiamo fatto una rivoluzione culturale sulla riqualificazione energetica e sismica ora serve una nuova visione della riqualificazione idrica che parta dalle case ma coinvolga anche i comuni».

Trasporti

Il parco veicolare merci e passeggeri italiano è uno dei più vetusti d’Europa. La quota di mercato italiana di auto elettriche, sebbene in netta crescita nel 2020, è ancora considerevolmente al di sotto della media UE e della maggior parte degli Stati membri. L’Italia si attesta tra le ultime in Europa anche per acquisto di autobus elettrici (solo il 5,4% nel 2019). Dunque la parte trasporti è centrale per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, come più volte dimostrato da studi di settore.

Traffico

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«Fondamentale è il dispiegamento di una infrastruttura di ricarica adeguata e omogeneamente distribuita da nord a sud per la mobilità elettrica di passeggeri e merci in ambito urbano ed extraurbano, garantendo un adeguato numero di punti di ricarica ultra-veloci», spiega Veronica Aneris di T&E. «A oggi in Italia si contano circa 9.000 stazioni di ricarica, concentrate soprattutto al Nord». Secondo lo studio commissionato da Motus-E a PWC, per servire i 6 milioni di veicoli elettrici previsti nel PNIEC sono necessari almeno 98.000-130.000 punti di ricarica al 2030. Il PNIRE III, Piano nazionale delle infrastrutture di ricarica elettrica (non ancora pubblicato) si pone come obiettivo almeno 100.000 stazioni di ricarica al 2030.

«Nel dettaglio in materia di trasporti riteniamo necessari almeno 30 miliardi per la mobilità urbana e regionale e 8 miliardi per l’elettrificazione», riassume Aneris, ricordando l’importanza di tutto il trasporto pubblico, che dovrebbe richiedere investimenti importanti, dai bus elettrici alle reti tramviarie e ferroviarie. Nella proposta congiunta di Legambiente, WWF, T&E e Greenpeace, “si propone la realizzazione di 5.000 km di reti ciclabile urbane e 10.000 di ciclovie turistiche (2 mld), l’acquisto di 15.000 nuovi autobus elettrici (5mld), realizzazione di 150 km di tramviarie e 25 km di metropolitane (8,5 mld), investimenti su ferrovie locali e treni per i pendolari (12,5 mld), logistica urbana, mobilità condivisa ed interventi di moderazione del traffico (2 mld)”.

Rimangono meno di due mesi per la consegna del PNRR. Per il momento dal MITE, il ribattezzato ministero per la transizione ecologica, non trapela nulla. Cingolani ha fatto sapere per il momento che inizialmente tanta attenzione sarà data alla burocrazia e processi autorizzativi, vero nodo di bottiglia di qualsiasi progetto. Il processo di scelta dei progetti è iniziato ma ancora non si sa quanto verrà tenuto del vecchio PNRR e cosa sarà incluso nel nuovo. La speranza del mondo industriale green e della società civile è che non si perseguano solo gli interessi delle grandi aziende e la visione Novecentesca di alcune parti del governo ma che il MITE sappia dare forma ad una visione di un’Italia davvero low carbon e circolare, un’avanguardia in Europa e non più un gregario della visione di Next Generation EU.

Di Emanuele Bompan

Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, innovazione, energia, mobilità sostenibile, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia, Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019, HOEPLI), Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (EMI, 2018), “Che cosa è l’economia circolare” (ed. Ambiente, 2017), uscito anche in edizione inglese What is the Circular Economy, e Il mondo dopo Parigi.L’accordo sul clima visto dall’Italia: prospettive, criticità e opportunità (ed. Ambiente, 2016). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship ed è stato nominato Giornalista per la Terra 2015. Ha svolto reportage in 76 paesi, sia come giornalista che come analista.

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