Di chi sono gli spazi pubblici delle nostre città? La risposta più ovvia è “di tutti e tutte” oppure “di chi li usa”, ma è davvero così? In realtà alcuni spazi, per esempio le strade, sembrano appannaggio solo di alcune categorie di persone, ovvero quelle che usano un mezzo a motore. Ma è sempre stato così?


Negli ultimi anni molte città stanno lavorando molto per trasformare alcuni spazi urbani, sia su impulso delle amministrazioni comunali che grazie a iniziative nate dal basso, con tutte le polemiche che spesso ne conseguono… Abbiamo sentito Luca Bertolini, che insegna Urban Planning all’Università di Amsterdam, per aiutarci a riflettere sull’uso dello spazio pubblico, in particolare le strade, nelle nostre città.

Se pensiamo al traffico, in genere ci vengono in mente automobili o mezzi a motore, come se la presenza di biciclette o pedoni sulle strade fosse qualcosa di straordinario. Ma è sempre stato così?

“No, non è assolutamente sempre stato così; senza idealizzare il passato ovviamente. Ma fino a circa un secolo fa, la strada era un luogo di usi svariati e non necessariamente armoniosi, con diverse forme di mobilità. Certo spostare persone e merci è sempre stata una funzione fondamentale delle strade, ma anche il gioco, la socialità, il commercio, l’espressione politica e personale. Nella storia delle città, la strada era uno spazio pubblico molteplice, che non significa privo di conflitti su quale uso domina in un dato momento. A un certo punto, però, questa molteplicità si è drasticamente ridotta.

Su questo tema ci sono belle ricerche storiche, soprattutto in ambito USA, anche perché lì è iniziato questo processo con l’arrivo dell’automobile di proprietà che ha creato dei conflitti con gli altri usi delle strade. Questi lavori mostrano che all’inizio c’era un rifiuto dell’automobile per gli incidenti, perché morivano bambini, ecc. Ma in qualche modo sono completamente cambiati gli equilibri politici e il discorso pubblico (grazie alla nascente industria dell’auto ovviamente). Trasformando la funzione principale della strada per il trasporto privato, motorizzato e veloce, il resto si è dovuto adattare. Tranne magari nel week end, quando puoi attraversare la strada dove di solito non è permesso.

E circa cent’anni fa sono stati inventati anche i segnali stradali e i semafori, che prima non esistevano, così come non c’erano zone pedonali. Tutte cose che ancora oggi servono a garantire, più o meno, anche altri usi delle strade e in realtà ne legittimano l’uso dominante da parte del traffico motorizzato, cosa che non era accaduto prima con altre forme di trasporto (come i tram). Non si vuole negare che il traffico del trasporto di persone e merci sia una funzione legittima, ma non è l’unica: dobbiamo mettere sul tavolo tutti gli usi e utenti potenziali e poi trovare un compromesso che funzioni.”

 

Un problema emerso negli ultimi anni in varie città è la convivenza nel patto stradale delle biciclette con i mezzi a motore privati, anche perché per ridurre le emissioni si spinge a usare di più la bici, ma questo sembra far riemergere il conflitto tra gli usi delle strade: cosa ne pensa?

“Ovviamente non si tratta solo di ridare spazio agli usi tradizionali della strada, come il gioco o la socialità, ma ci sono anche nuove domande. Per esempio una mobilità più sostenibile e anche più salutare, o misure di adattamento al cambiamento climatico, e quindi ci deve essere più verde, più permeabilità del suolo. Queste sono tutte domande di spazio e siccome la mobilità è una delle sue funzioni, va privilegiata una mobilità più efficiente nell’uso dello spazio, che realizzi altri obiettivi oltre allo spostamento. Per esempio, andare in bici o a piedi fa anche bene alla salute sia fisica che mentale, e può convivere con altri usi.

Poi un altro problema del trasporto su gomma è che non è sostenibile, anche se le emissioni in teoria sarebbero risolvibili con i motori elettrici, che però di nuovo non ci fanno usare i nostri corpi. Ma è estremamente inefficiente anche nell’uso dello spazio: per trasportare una persona in auto serve 10 volte più spazio di quello per parcheggiarla, e da 10 a 40 volte di più che usando la bici, i piedi o i mezzi pubblici. Si tratta di uno spreco di spazio impressionante che mai sceglieremmo razionalmente.

A questo si aggiunge il problema della convivenza di mezzi pesanti e veloci con la mobilità dolce, che vuol dire anche la mobilità di corpi più vulnerabili ed esposti. Quindi volendo immaginare una mobilità futura, oltre a essere intrinsecamente meno dannosa o addirittura portare benefici, deve poter convivere con altre forme di mobilità e altri usi della strada. E questi sono problemi potenziali che i veicoli elettrici o a guida autonoma non risolveranno, ma potrebbero addirittura peggiorare.”

 

Bologna è una città con un centro storico che conserva ancora molte strade strette costruite in epoca medievale. Oggi in quelle strade passano le auto e alcuni progetti, come l’espansione delle aree pedonalizzate, vorrebbero toglierle. Ma c’è una retorica secondo cui togliere le auto dalle strade è insensato, perché queste sono l’“habitat” delle auto, anche quelle medievali…

Ivan Illich era a favore della tecnologia, ma solo se libera invece che opprimere, e suo è il concetto di “monopolio radicale”: cioè una tecnologia che opprime ti rende dipendente e quindi ti toglie la scelta se usarla o no. E l’auto lo è perché per chi la usa spesso diventa una necessità, dato che poi esclude tutte altre possibilità. Quindi, per me il primo passo è riconoscere che questa condizione non è un dato di natura, ma una problematica emersa storicamente. Oggi ancor di più per nuove questioni che si sono accumulate, come quelle di sostenibilità ambientale.

Per esempio, a Torino c’è un interessante dibattito fra cittadini: c’è chi protesta perché in una zona sono stati tolti parcheggi per fare piste ciclabili e aree giochi per i bambini. Ma bisogna smontare l’idea che sia un diritto naturale parcheggiare l’auto, quando invece è emerso storicamente. Come è storicamente emersa la negazione degli altri diritti, rendendoli invisibili, perché se non ci sono bambini in strada che giocano non esistono, proprio perché non ne hanno diritto. Finché non si smonta questo è impossibile discutere, perché i diritti acquisiti degli automobilisti valgono per definizione più dei diritti degli altri, che se li devono riconquistare.”

 

Un caso particolare è Venezia dove non ci sono auto e quindi nelle calli più grandi e nei campi i bambini giocano a pallone, mentre in altre città non se ne vedono, nonostante lo stesso problema di calo demografico…

“Venezia è un esempio affascinante perché ci si rende conto di cosa potrebbe essere la vita quotidiana per chi abita una città. D’altronde l’economia è diventata così dipendente dall’automobile o dal trasporto merci che non li puoi togliere all’improvviso. Questo va riconosciuto senza escludere alternative alla mobilità, però allo stesso tempo bisogna esplorare come togliere spazio all’auto per dare alle persone accesso a ciò di cui hanno bisogno. Ed è complesso perché in alcuni casi molto è nella nostra testa: incapacità, pigrizia mentale o abitudine. Ci sono anche situazioni di dipendenza, ma bisogna esplorare alternative e creare dei disincentivi, così che la resistenza non sia giustificata. Si tratta di un processo di trasformazione lento, ma parte dal riconoscimento che non è un fatto di natura.”

 

Quindi se non possiamo semplicemente togliere le auto, allora quale ricetta propone?

“Se è vero che anche altri usi della strada sono legittimi, per me è inevitabile concludere che ci devono essere meno auto in circolazione; è un’equazione che non so come si potrebbe risolvere altrimenti. Il problema è complesso ma ci sono così tanti argomenti (legati all’ambiente, alla salute…) che, almeno nelle città, vedo sempre meno persone contrarie a questa cosa. Però in qualche caso ci sono delle necessità che vanno riconosciute, come persone che non possono raggiungere il loro luogo di lavoro o anche prestare mansioni di cura della famiglia e non solo.

Non è facile ma bisogna sperimentare alternative: dalla mobilità dolce di alcune città europee, alla bicicletta che ha un potenziale enorme come si vede dove le si dà spazio, ma ovviamente anche il trasporto pubblico o l’auto condivisa. Dall’altra parte si devono dare dei disincentivi, uno fondamentale da rimettere in discussione è il diritto al posto auto gratuito o sotto al costo di mercato. Tralasciando il costo sociale, perché l’uso dello spazio pubblico per un’auto parcheggiata è una cosa assurda. Però di nuovo, se non diamo alternative alle persone, si penalizza chi non ha i soldi per un garage.

Per esempio Bologna partecipa a uno dei nostri progetti che è molto interessante, legato alle piazze scolastiche. Si tratta di via Procaccini, che doveva essere temporaneo per capire cosa funzionava, ma è andato talmente bene che se ne faranno altri permanenti. Non è sempre così lineare e semplice, però l’idea è chiaramente di cominciare con un esperimento per testare qualcosa, e se poi funziona lo replichi anche altrove.”


Leggi anche: Strade per  le persone – Sperimentare nuove direzioni con i primi prototipi di via Milano Pedonale e la piazza Scolastica in via Procaccini


Via Procaccini ha funzionato anche perché è stato un progetto di partecipazione: un esperimento temporaneo, ma che ha coinvolto direttamente gli utenti per capire i problemi e le possibili soluzioni. Ѐ d’accordo?

“La cosa più interessante di via Procaccini è che all’inizio si voleva dare un accesso alla scuola più sicuro per bambini e genitori, e ora i bimbi vanno a scuola più spesso a piedi o in bicicletta. Ma interagendo con loro è emerso che per i bambini era importante avere uno spazio esterno dove incontrarsi e socializzare, in una scuola molto diversificata in termini di provenienza. E allora è diventato una spiaggia, una piazza dell’incontro. Questo esempio è molto bello perché, oltre al parere degli esperti, è stato importante che i bambini abbiano portato altri usi dello spazio attraverso la loro partecipazione diretta: un vero successo.”

 

Quando in una strada c’è un cantiere, o una manifestazione, si dice che è chiusa perché non passano le auto ma in realtà si può passare… a piedi. Forse senza nemmeno pensarci, anche nel discorso comune si dà troppo valore alle auto?

“Interessante notare come gli esperimenti in cui le strade sono temporaneamente usate per scopi diversi dal traffico si chiamano spesso strade aperte. L’idea è che la strada non è chiusa al traffico ma è aperta al gioco, all’incontro, a molte altre cose… dipende da dove scegli di mettere l’accento.

Infatti anche il linguaggio che usiamo è molto importante, perché può raccontare storie diverse. Per esempio, i lavori in corso, gli eventi politici o sportivi in qualche modo sono accettati dagli automobilisti che devono adattarsi, e spesso lo fanno in maniere anche sorprendenti. Quindi non dovrebbe essere un problema, e invece quando ci sono altre ragioni dicono che non si possono adattare: è un’enorme contraddizione, perchè c’è una capacità di adattamento molto superiore a quella dichiarata in altre circostanze.

Certo ci sono anche delle critiche: se chiudi al traffico alcune strade, come hanno fatto in alcuni quartieri di Barcellona, questo si sposterà semplicemente su altre strade e la situazione migliora qui ma peggiora altrove. Invece si è visto che questo effetto è minimo, non è zero ma in pratica il traffico stradale rimane molto stabile. Il termine tecnico è evaporazione del traffico: cioè la gente viaggia con altri mezzi, si adatta. Ci potrebbe anche essere chi rinuncia agli spostamenti, però sono tutti esempi che dimostrano una capacità di adattamento molto superiore a quella che viene presupposta da chi chiede solo parcheggi gratuiti.”

 

Una critica tipica è quella dei commercianti quando si pedonalizza una strada perché temono che la gente non vada più nei negozi, e invece magari le persone ci passano di più. Come a Bologna con i T-Days, in cui due grosse vie del centro vengono chiuse al traffico veicolare (compresi i mezzi pubblici), con delle difficoltà per le persone disabili, e infatti molte associazioni si sono lamentate…

“Bisogna discutere e fare simulazioni, modelli, studi, però si arriva fino a un certo punto perché la realtà è sempre più complessa, ma anche perché per le persone capire con l’esperienza è fondamentale. Ovviamente sperimenti e vedi cosa succede, non solo puoi farlo permanente o temporaneo, ma capisci anche se il problema dei disabili è molto rilevante e magari dai delle esenzioni, se l’auto è davvero una necessità. Quindi crei un processo che deve essere sufficientemente partecipato, e in cui queste cose possono essere affrontate e anche sperimentate, come nel caso di commercianti.”

 

di Marco Boscolo e Sara Urbani – formicablu

Immagine di copertina: Thales/flickr, CC BY

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