Comincia la primavera con un’altra siccità da record, che si trascina dall’autunno e che ha colpito anche l’Emilia-Romagna. L’eccezione sta diventando la regola, ma gli agricoltori da tempo avevano suonato l’allarme, come spiega Mauro Mandrioli, coordinatore del Laboratorio di Agricoltura Digitale (DIGITAG) dell’Università di Modena e Reggio Emilia.


Persino in città ce ne accorgiamo, anche senza leggere il giornale. Non piove da molto tempo, ed è piovuto poco durante l’inverno. La mappa del monitoraggio regionale della siccità, disponibile sul sito ARPAE, ci fa capire quanto sia grave la situazione, in tutta la regione. Le precipitazioni e le portate dei fiumi sono ampiamente sotto le medie storiche.

Mappa della siccità in Emilia-Romagna per macroaree secondo le rilevazioni ARPAE. I dati si riferiscono al 24 marzo 2022.

L’acqua però nelle nostre case non manca, né ci ricordiamo che sia mai stato necessario il razionamento. Nemmeno durante la terribile siccità del 2017. I molti agricoltori della regione invece hanno paura. Prima o poi pioverà, questo è certo, ma la crisi idrica sta diventando una “nuova normalità” che mette a rischio prima di tutto il lavoro. Ne parliamo con Mauro Mandrioli, coordinatore del Laboratorio di Agricoltura Digitale (DIGITAG) dell’Università di Modena e Reggio Emilia e autore del saggio Nove miliardi a tavola – Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0.

 

Come si stanno preparando gli agricoltori alla siccità?

«La siccità di questo periodo è da record, ma sia il 2021 che il 2020 sono stati anni molto siccitosi per l’Italia. Ormai possiamo parlare di trend, ed è stato calcolato che negli ultimi vent’anni l’agricoltura ha perso circa un miliardo all’anno per la mancanza di acqua. In Regione abbiamo i consorzi di bonifica, che si occupano di gestire anche le acque irrigue, tuttavia l’infrastruttura esistente non è più sufficiente. Almeno dal 2017, l’anno della gravissima siccità estiva, il settore ha chiesto interventi per resistere a questi eventi. In particolare, è stata chiesta la creazione di nuovi invasi.

Questo perché le precipitazioni, oltre che in media ridotte, a volte sono anche concentrate: piove più di quanto il terreno possa assorbire. Queste opere, invece, darebbero la possibilità di immagazzinare ampie quantità di acqua e riutilizzarla in caso di bisogno. Gli interventi infrastrutturali, tuttavia, sono ancora pochi, ma in molte regioni del Sud non è stato fatto nulla. Uno dei problemi è che collettivamente non ci rendiamo conto che in Italia cresce il rischio siccità, pensiamo che sia un problema di altre parti del mondo. Invece i modelli ci dicono di prepararci.»

 

Che cosa è stato fatto finora in Regione?

«Da tempo è stato incentivato un uso più razionale delle acque irrigue. Questo è importantissimo anche a prescindere dalla siccità. L’agricoltura consuma il 70% delle acque dolci prelevate, ma potrebbe usarne meno mantenendo la stessa produttività. Per esempio in Regione esiste da diversi anni il servizio Irriframe, che a seconda delle precipitazioni, del tipo di suolo e coltura, e altri fattori calcola gratuitamente la quantità ottimale di acqua da irrigare in ogni momento.

Un altro modo per ottimizzare l’irrigazione è usare gli indici vegetativi: un campo non è uniforme, alcune zone hanno bisogno di più cure, altre meno, e lo possiamo capire dalle radiazioni riflesse dalle piante. Per questo l’agricoltore dovrebbe però affidarsi a un’azienda specializzata con un drone dotato di sensori appositi, oppure usare dati satellitari. Queste ultime innovazioni, però, devono ancora vincere la fiducia degli agricoltori.»

«Il risparmio idrico è sempre necessario, ma non sufficiente nelle crisi idriche che stiamo attraversando. Servono nuovi invasi, come dicevamo. Una spinta in questo senso sta arrivando dal PNRR, che ha stanziato 6,8 miliardi per l’agricoltura, di cui 1 miliardo per invasi e nuovi sistemi irrigui. Ora l’idea è quella di costruire una rete di piccoli invasi a basso impatto ambientale, evitando di costruire vasche impermeabilizzate e favorendo invece la creazione di laghi artificiali, in grado di offrire al territorio altri benefici (per esempio nuove zone umide). La Regione ha più volte dichiarato il suo impegno per realizzare questo tipo di interventi attraverso il PNRR

 

Che cos’altro si dovrebbe fare per l’agricoltura?

«Le nuove infrastrutture sono imprescindibili per mantenere quello che produciamo in Regione, altrimenti il territorio rischia di perdere la possibilità di coltivare molte colture. Anche le aziende vanno messe nelle condizioni di poter innovare, cioè migliorare l’efficienza e quindi la loro sostenibilità. Il problema è che anche l’albo delle aziende agricole si sta “seccando”: i margini di guadagno sono talmente bassi che clima, parassiti e altre avversità rischiano di azzerare il profitto. Un agricoltore può decidere di abbandonare del tutto un raccolto compromesso perché provare a salvarlo gli costerebbe di più. Per questo le aziende agricole sono sempre meno. Più che un problema di sicurezza alimentare, è un problema di posti di lavoro persi e territori impoveriti. Nel PNRR a questo proposito sono previsti i contratti di filiera, per redistribuire il guadagno in maniera più equa.

Se con la contrattazione e l’innovazione si riuscirà a mettere in sicurezza il settore, allora possiamo anche pensare nel lungo periodo ad ulteriori investimenti in ricerca e sviluppo, per esempio delle nuove varietà. Forse non ci serve ancora una varietà resistente alla siccità (altri paesi già le usano), ma potremmo comunque investire nel miglioramento genetico, anche con le nuove tecnologie. La cisgenesi, che crea nuove piante spostando i geni tra varietà diverse della stessa specie, sembra avere più possibilità di essere accettata dagli agricoltori rispetto ai classici Ogm, anche se manca ancora una legge Europea. Lo studio della microbiologia dei suoli ci ha invece già dimostrato l’utilità di alcuni batteri per preservare le piante da stress idrico.»

Stefano Dalla Casa – formicablu

Scrivi un commento

Un progetto di Fondazione Innovazione Urbana